A confronto col Vicario generale su questioni e proposte per la formazione permanente del clero: «È lo Spirito Santo che inquieta, spinge, provoca, per una riforma. Ma i preti ambrosiani non corrono il rischio di non avere l'odore delle pecore...»

di Pindaro Melodini

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Non che sia difficile parlare di formazione permanente in genere e del clero in particolare. Viene però da pensare che sia un po’ inutile. Non che manchi la buona volontà o una varietà di proposte: ma a che cosa servono? Chi le raccoglie? Questo tema della formazione permanente non è specie di adempimento inserito in tutte le professioni per far perdere tempo? Capisco la formazione professionale, per imparare a usare un nuovo programma di contabilità o a vendere un nuovo prodotto. Ma la formazione personale di un adulto non è un appello retorico? Sembra poi che si proponga di chiamare la “formazione” con il termine aggressivo di “riforma”. Ne vorremmo parlare con chi in diocesi di Milano è incaricato della formazione permanente del clero, il Vicario generale monsignor Mario Delpini.

Dunque è Lei il don Chisciotte che vuole sostituire la dizione “formazione permanente del clero” con “riforma del clero”?
Non so se il titolo che mi dà sia un complimento o un insulto, ma, pur avendo ricevuto molti insulti e molti complimenti, non mi sento toccato da questa Sua aggressione. Infatti, per quello che ne so, è lo Spirito Santo che inquieta, spinge, provoca, per una riforma della Chiesa e del clero. E si serve della voce del Papa e dei Vescovi. Io mi associo volentieri, ma l’impresa non è certo mia!

Dunque parliamo di “riforma”. Ma, io dico, va beh che l’aria che tira è piuttosto ostile e maldisposta verso il clero e crede più ai sospetti che ai meriti. Però, per quello che io posso constatare, non mi sembra che i preti siano poi tanto malmessi. In genere sono gente seria e dedita. Parlare di riforma sembra di parlare di un intervento urgente, chirurgico, per rimediare a una situazione degradata…
Infatti i preti, almeno il clero ambrosiano, sono gente che si dedica senza risparmio. Io resto sempre ammirato della generosità vissuta come ovvia, come naturale. La riforma di cui si parla non è per porre rimedio alla corruzione, ma per evitare la consunzione. In altri tempi forse bisognava trascinare un clero pigro a lavorare di più. Adesso si deve piuttosto consigliare di agitarsi e logorarsi di meno nell’impegno pastorale. Per usare una fortunata metafora di papa Francesco, il clero ambrosiano non corre il rischio di non avere l’odore delle pecore. Corre piuttosto il rischio di essere così immerso nel gregge e nel suo odore da non diffondere più il profumo di Cristo.

Lei me la conta bella! E pensare che io ero persuaso che i preti avessero qualcosa da fare la domenica, per via delle messe, e mi sono sempre chiesto che cosa facesssero nei giorni feriali… Ad ogni modo quale sarebbe la riforma che vuole introdurre?
Vista la sua ignoranza, non so se riesco a farmi capire. La riforma in sostanza consiste nel passare da un ministero vissuto ciascuno per sé nella comunità in cui il prete si sente vescovo, papa e re, a un ministero vissuto in un presbiterio, per collaborare con il Vescovo alla missione della Chiesa.

Se comincia a usare paroloni, mi manda in confusione… In pratica che cosa cambia?
Cambia che invece di essere una carriera, diventa una fraternità, in cui il ruolo è meno importante della comunione. Cambia che invece di essere l’agitazione frenetica per correre dappertutto diventa la presenza di un segno di comunione che fa quello che può per aiutare la gente a incontrare il Signore. La gente si aspetta molto e non sempre con ragione. I preti devono dare tutto, ma solo con buone ragioni: dare cioè il Vangelo che è tutta la loro vita. È per questo che sono mandati.

A proposito dell’agitazione frenetica, mi piacerebbe sapere quale rimedio proponga. Infatti anche al mio paese, se si dice qualche cosa del prete, si dice che «è sempre di corsa…».
I nostri preti non devono essere convinti a lavorare, ma piuttosto a fermarsi; non fanno fatica a parlare, ma piuttosto a tacere; in genere non si lamentano di avere il tempo occupato, capita invece che se hanno un giorno libero cerchino di occupare anche quello. Per questo sarà un esercizio interessante quello proposto dal Vescovo: che in occasione di un trasferimento ci sia un mese “in disparte”, per riposarsi un po’.

Insomma, la grande innovazione sarebbe un mese di ferie? Non le sembra piuttosto che sarebbe più giusto, se lavorano molto, pagarli di più?
Non parliamo di ferie: non siamo lavoratori dipendenti. Non parliamo di vacanze: non siamo studenti. Un tempo in disparte per riposare un po’, cioè per fermarsi e domandarsi: «Ma io che prete, che uomo sto diventando?». Un tempo per pregare: «Ma tu, Signore, chi sei per me?». Un tempo di vita fraterna: «Ma noi che presbiterio stiamo diventando?». Un tempo per aggiornarsi: «C’è qualche libro che merita di essere letto? C’è qualche pensiero che merita d’essere pensato?».

Non che l’idea mi faccia ardere di entusiasmo, ma forse ai preti interesserà. Ma che mi dice dello stipendio? Non sarebbe un buon incentivo per trovare nuova manodopera, visto che i preti scarseggiano?
I preti non hanno stipendio, ma un contributo per il sostentamento. Da diversi anni, per un gesto simbolico di solidarietà in tempo di crisi, il valore del sostentamento non è stato aggiornato. Anzi nel prossimo anno si propone come percorso di formazione permanente di considerare come si possa praticare meglio la povertà. Per vivere bene il ministero bisogna essere liberi da ogni avidità; per essere lieti, bisogna essere poveri, secondo la parola di Gesù: Beati i poveri.

Mi sa che Lei con le sue idee di riforma del clero non avrà un gran successo. Ad ogni modo i migliori auguri…