Vista la pubblicazione della Lettera apostolica «Patris corde – Con cuore di Padre» e l’indizione dell’«Anno di San Giuseppe», quest’anno la festa liturgica del padre putativo di Gesù è attesa con particolare trepidazione.

San-Giuseppe---Nicola-Villa

Padre amato, padre nella tenerezza, nell’obbedienza e nell’accoglienza; padre dal coraggio creativo, lavoratore, sempre nell’ombra: con queste parole Papa Francesco descrive, in modo
tenero e toccante, San Giuseppe. Lo fa nella Lettera apostolica Patris corde, pubblicata oggi in occasione del 150° anniversario della dichiarazione dello Sposo di Maria quale Patrono della
Chiesa cattolica. Fu il Beato Pio IX, infatti, con il decreto Quemadmodum Deus, firmato l’8 dicembre 1870, a volere questo titolo per San Giuseppe. Per celebrare tale ricorrenza, il Pontefice
ha indetto uno speciale “Anno” dedicato al padre putativo di Gesù (8 dicembre 2020 – 8 dicembre 2021). Sullo sfondo della Lettera apostolica, c’è la pandemia da Covid-19 che – scrive Francesco – ci ha fatto comprendere l’importanza delle persone comuni, quelle che, lontane dalla ribalta, esercitano ogni giorno pazienza e infondono speranza, seminando corresponsabilità. Proprio come San Giuseppe, «l’uomo che passa inosservato, l’uomo della presenza quotidiana, discreta e nascosta». Eppure, il suo è «un protagonismo senza pari nella storia della salvezza».

Padre amato, tenero e obbediente
San Giuseppe, infatti, ha espresso concretamente la sua paternità «nell’aver fatto della sua vita un’oblazione di sé nell’amore posto a servizio del Messia». E per questo suo ruolo di «cerniera che unisce l’Antico e Nuovo Testamento», egli è sempre stato molto amato dal popolo cristiano. In lui, «Gesù ha visto la tenerezza di Dio», quella che «ci fa accogliere la nostra debolezza», perché «è attraverso e nonostante la nostra debolezza» che si realizza la maggior parte dei disegni divini. «Solo la tenerezza ci salverà dall’opera» del Maligno, sottolinea il Pontefice, ed è incontrando la misericordia di Dio soprattutto nel Sacramento della Riconciliazione che possiamo fare «un’esperienza di verità e tenerezza», perché «Dio non ci condanna, ma ci accoglie, ci abbraccia, ci sostiene e ci perdona». Giuseppe è padre anche nell’obbedienza a Dio: con il suo ‘fiat’ salva Maria e Gesù ed insegna a suo Figlio a fare la volontà del Padre. Chiamato da Dio a servire la missione di Gesù, egli «coopera al grande mistero della Redenzione ed è veramente ministro di salvezza».

Padre accogliente della volontà di Dio e del prossimo
Al tempo stesso, Giuseppe è «padre nell’accoglienza», perché «accoglie Maria senza condizioni preventive», un gesto importante ancora oggi – afferma Francesco – «in questo mondo nel quale la violenza psicologica, verbale e fisica sulla donna è evidente”. Ma lo Sposo di Maria è pure colui  che, fiducioso nel Signore, accoglie nella sua vita anche gli avvenimenti che non comprende, lasciando da parte i ragionamenti e riconciliandosi con la propria storia. La vita spirituale di Giuseppe «non è una via che spiega, ma una via che accoglie», il che non vuol dire che egli sia «un uomo rassegnato passivamente». Anzi: il suo protagonismo è «coraggioso e forte» perché con «la fortezza dello Spirito Santo», quella «piena di speranza», egli sa «fare spazio anche alla parte contraddittoria, inaspettata, deludente dell’esistenza». In pratica, attraverso San Giuseppe, è come se Dio ci ripetesse: «Non abbiate paura!», perché “la fede dà significato ad ogni evento lieto o triste» e ci rende consapevoli che «Dio può far germogliare fiori tra le rocce». Non solo: Giuseppe «non cerca scorciatoie», ma affronta la realtà «ad occhi aperti, assumendone in prima persona la responsabilità». Per questo, la sua accoglienza «ci invita ad accogliere gli altri, senza esclusione, così come sono», con «una predilezione per i deboli».

Padre coraggioso e creativo, esempio di amore per Chiesa e poveri
Patris corde evidenzia, poi, «il coraggio creativo» di San Giuseppe, quello che emerge soprattutto nelle difficoltà e che fa nascere nell’uomo risorse inaspettate. «Il carpentiere di Nazaret – spiega il Papa – sa trasformare un problema in un’opportunità anteponendo sempre la fiducia nella Provvidenza». Egli affronta i problemi concreti della sua Famiglia, esattamente come fanno tutte le altre famiglie del mondo, in particolare quelle dei migranti. In questo senso, San Giuseppe è davvero uno speciale patrono di coloro che, «costretti dalle sventure e dalla fame», devono lasciare la patria a causa di guerre, odio, persecuzione, miseria. Custode di Gesù e di Maria, Giuseppe «non può non essere custode della Chiesa», della sua maternità e del Corpo di Cristo: ogni bisognoso, povero, sofferente, moribondo, forestiero, carcerato, malato, è il Bambino che Giuseppe custodisce e da lui bisogna imparare ad «amare la Chiesa e i poveri».

Padre che insegna valore, dignità e gioia del lavoro
Onesto carpentiere che ha lavorato per garantire il sostentamento della sua famiglia, Giuseppe ci insegna anche «il valore, la dignità e la gioia» di mangiare il pane frutto del proprio lavoro. Questa accezione del padre di Gesù offre l’occasione, al Papa, per lanciare un appello in favore del lavoro, divenuto una questione sociale urgente persino nei Paesi con un certo livello di benessere. «È necessario comprendere – scrive Francesco – il significato del lavoro che dà dignità», che diventa partecipazione all’opera stessa della salvezza e occasione di realizzazione per se stessi e per la propria famiglia, nucleo originario della società. Chi lavora, collabora con Dio perché diventa un po’ creatore del mondo che ci circonda. Di qui, l’esortazione che il Pontefice fa a tutti per «riscoprire il valore, l’importanza e la necessità del lavoro», così da dare origine ad una nuova normalità in cui nessuno sia escluso. Guardando, in particolare, all’aggravarsi della disoccupazione a causa della pandemia da Covid-19, il Papa richiama tutti a rivedere le nostre priorità per impegnarsi a dire: «Nessun giovane, nessuna persona, nessuna famiglia senza lavoro!».

Padre nell’ombra, decentrato per amore di Maria e Gesù
Prendendo poi spunto dall’opera «L’ombra del Padre» dello scrittore polacco Jan Dobraczyński, il Pontefice descrive la paternità di Giuseppe nei confronti di Gesù come «l’ombra sulla terra del Padre Celeste». «Padri non si nasce, lo si diventa», afferma Francesco, perché ci si prende cura di un figlio assumendosi la responsabilità della sua vita. Purtroppo, nella società di oggi, spesso i figli sembrano orfani di padri, di padri in grado di introdurre il figlio all’esperienza della vita, senza trattenerlo o possederlo, bensì rendendolo capace di scelte, di libertà, di partenze. In questo senso, Giuseppe ha l’appellativo di «castissimo» che è il contrario del possesso: egli, infatti, ha saputo amare in maniera straordinariamente libera, ha saputo decentrarsi per mettere al centro della sua vita non se stesso, bensì Gesù e Maria. La sua felicità è «nel dono di sé»: mai frustrato e sempre fiducioso, Giuseppe resta in silenzio, senza lamentarsi, ma compiendo gesti concreti di fiducia. La sua figura è dunque quanto mai esemplare, evidenzia il Papa, in un mondo che «ha bisogno di padri e rifiuta i padroni», rifiuta chi confonde «autorità con autoritarismo, servizio con servilismo, confronto con oppressione, carità con assistenzialismo, forza con distruzione». Il vero padre è quello che rinuncia alla tentazione di vivere la vita dei figli e ne rispetta la libertà, perché la paternità vissuta in pienezza rende il padre stesso inutile, nel momento in cui «il figlio diventa autonomo e cammina da solo sui sentieri della vita». Essere padri non è mai un esercizio di possesso, sottolinea Francesco, ma «un segno che rinvia alla paternità più alta», al Padre Celeste.

La preghiera quotidiana del Papa a San Giuseppe e quella «certa sfida»…
Conclusa da una preghiera a San Giuseppe, Patris corde svela anche un’abitudine della vita di Francesco: tutti i giorni, infatti, da più di quarant’anni, il Pontefice recita un’orazione allo Sposo di Maria tratta da un libro francese di devozioni della Congregazione delle Religiose di Gesù e Maria. Si tratta di una preghiera che esprime devozione e fiducia a San Giuseppe, ma anche una «certa sfida», spiega il Papa, perché si conclude con le parole: «Che non si dica che ti abbia invocato invano, mostrami che la tua bontà è grande quanto il tuo potere».

Glorioso Patriarca San Giuseppe,
il cui potere sa rendere possibili le cose impossibili,
vieni in mio aiuto in questi momenti di angoscia e difficoltà.
Prendi sotto la tua protezione le situazioni
tanto gravi e difficili che ti affido,
affinché abbiano una felice soluzione.
Mio amato Padre,
tutta la mia fiducia è riposta in te.
Che non si dica che ti abbia invocato invano,
e poiché tu puoi tutto presso Gesù e Maria,
mostrami che la tua bontà è grande quanto il tuo potere.
Amen