Una riflessione di Marina Marcolini

annunciazione1

Se sono qui oggi, è perché l’Amore mi ha cercata. È entrato un giorno nella mia stanza, come il raggio nei dipinti dell’Annunciazione. Un raggio d’amore è penetrato nella mia casa e nel mio cuore e lo ha fatto ardere. Un incendio d’amore dentro di me.
Mi ha scombussolato la vita seducendomi. Mi ha toccata un Dio attraente, vicino e intimo come un amante.
C’è dell’eros in ogni vocazione. Quel desiderare, cercare, sfiorare, baciare… e poi perdere, dimenticare, allontanarsi… per tornare a desiderare.
La vocazione è una danza di corteggiamento: «Ho scelto te e il mio amore ti fa bella come il sole».
C’è tutto il profumo, tutta la bellezza e gli spasimi del Cantico dei cantici.
Dio è amore e l’amore fa ciò che fa l’energia del sole: irradia luce e fa crescere. Senza amore siamo come pianticelle senza il sole, destinate ad avvizzire.
L’amore è un’energia vitale che spinge a fiorire. Preme dentro il seme perché si intenerisca il guscio, si spezzi e ne esca un esile germoglio. E poi lo incalza perché metta foglie e faccia lo stelo. E poi continua a spingere perché la pianta porti a compimento ciò che è. La vocazione della pianta è fiorire e dare frutto.
Anche la nostra vocazione è fiorire e fruttificare. È una chiamata alla felicità.
Ma qual è l’origine della parola felicità?
Deriva dal latino felix, che come primo significato non vuol dire felice, contento, ma fertile, fruttifero. Felix per i romani era l’albero rigoglioso che dava tanti frutti.
Una storia simile ha anche la parola lieto. Laetus significava sia allegro, contento, sia fertile, fecondo. Laetus era il campo grasso, laeti i pascoli fecondi d’erbe, dove gli animali trovavano molto nutrimento.
Cercare l’etimologia di una parola è come risvegliarne il senso addormentato. Scopro allora che le parole felicità, fecondità, feto e femmina hanno un’antica storia in comune, che parla di maturazione, di abbondanza, di spighe dorate di chicchi, di grappoli gonfi di dolce succo, di grembi gravidi.
Felice è chi è fecondo e fecondi si diventa evolvendo, trasformandosi, lasciando le vecchie sicurezze per abbandonarsi alla mano del Signore che ti lavora.
Come avviene a una spiga o a una pianta di rosa, che rispondono alla loro vocazione fiorendo, maturando. L’amore di Dio ci chiama a fioritura, a far emergere tutta la bellezza che abbiamo dentro, a sviluppare le nostre capacità, a metterle a disposizione del mondo. Siamo chiamati a brillare, nessun talento deve essere mortificato. Il mondo ne ha bisogno: una rosa che non fiorisce ha mancato il suo scopo nella vita.
Felicità è fecondità: una persona ha gioia quando è messa in grado di poter donare il meglio di sé.
«Siate perfetti», dice Gesù, ma perfetti non significa senza macchia e senza paura. Perfectus in latino significa compiuto, qualcosa giunto a compimento, a maturazione. Così come imperfectus non significa sbagliato, ma incompiuto, appena cominciato.

Opera: Sir Edward Burne-Jones, The Annunciation, 1857, olio su tela, Birmingham Museum (Regno Unito)

“Dalla rivista Vocazioni, n. 2, marzo/aprile 2016”