Riflessione di Emanuela Vinai

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Se la vocazione avesse una forma, sarebbe quella del sorriso di Papa Luciani: umile, luminoso, schietto, sereno. Il 26 agosto del 1978 saliva al soglio di Pietro Giovanni Paolo I, Albino Luciani.

Un pontificato brevissimo, trentatré giorni appena, sufficienti però a lasciare segni profondi. A partire dal richiamo all’amore inesauribile di Dio, anzi, “intramontabile”, come disse in uno degli Angelus più famosi e più ricordati, quello del 10 settembre 1978, dove disegnò la dolcezza della misericordia, descrivendo Dio in sei parole: “È papà; più ancora, è madre”. Se così è, proseguì, non possiamo averne timore: “I figlioli, se per caso sono malati, hanno un titolo di più per essere amati dalla mamma. E anche noi se per caso siamo malati di cattiveria, fuori di strada, abbiamo un titolo di più per essere amati dal Signore”. La cattiveria come una malattia e il Signore come una madre china sul figlio febbricitante: come possiamo aver paura di abbandonarci a Lui? Dio sa come ci sentiamo quando siamo oppressi dalle cose brutte e vuole soltanto che ci lasciamo amare senza condizioni: “Ecco che cosa è la fede: arrendersi a Dio, ma trasformando la propria vita”.

In una lettera alla diocesi del 1965, il Cardinale Luciani scrive: “Dio è anche colui che chiama. E la parola con la quale chiama non è debole, impotente e vuota; è potente, carica di grazia, accompagnata da doni”. Per aggiungere: “È piena di forza, ma non sforza la parola e lascia liberi di rispondere”. L’amore che invita lo fa con voce forte, senza essere autoritaria: quando sentiamo la chiamata (!) alziamo la testa perché riconosciamo il tono energico che pronuncia il nostro nome, ma la sua vera forza sta nel non obbligare all’obbedienza, perché siamo figli, non schiavi, e quindi liberi di scegliere. Tanto liberi che possiamo anche sbagliare, così, spiega papa Luciani, Dio può impartirci una lezione di umiltà gratis: “Non vien voglia di credersi dei mezzi santi, dei mezzi angeli, quando si sa di aver commesso delle mancanze gravi”. Chi ti credi di essere che, se non fai attenzione, ruzzoli a terra, inciampando nei tuoi piedi? Se non fossimo così zucconi, capiremmo che quello che ci viene proposto, in realtà, è un viaggio senza eguali. “Amare Dio è, dunque, un viaggiare col cuore verso Dio. Viaggio bellissimo”, dice Giovanni Paolo I, che leggeva e sapeva cogliere le differenze: “Da ragazzo mi estasiavo nei viaggi descritti da Giulio Verne… Ma i viaggi dell’amore a Dio sono molto più interessanti”. Ecco, la strada magari è accidentata, però non ci sono paragoni nella destinazione. Se possono spacciare per paradisi molti luoghi ameni della Terra, di Paradiso autentico ce n’è uno solo e si sorriderà molto. Non c’è altro tour operator all’altezza: arrendiamoci.