Riflessione di Emanuela Vinai su speranza e vocazione

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C’è chi spera e chi dispera, noi siamo quelli del #teamsperanza. Potevamo far parte del ben più numeroso #teamasteroide, ma siamo pervicaci e con lo sguardo ostinatamente rivolto in alto, più in là. Nello zaino, abbiamo Benedetto XVI, che quando si è trattato di parlare di vocazione ha saputo illuminare la strada con una torcia che fa luce anche sul sentiero che sta alle spalle.  

Sì, perché per essere consapevoli del dove stiamo andando e con quali passi, dobbiamo sapere da dove siamo partiti e che equipaggiamento ci hanno dato. Così, papa Ratzinger, da bravo professore, ci interroga sul passato per vedere se abbiamo le idee chiare sul futuro. Nel Messaggio per la 50° Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni (21 aprile 2013), prima rimette la Chiesa al centro del villaggio – “La speranza è attesa di qualcosa di positivo per il futuro, ma che al tempo stesso deve sostenere il nostro presente, segnato non di rado da insoddisfazioni e insuccessi” – e poi ci guarda negli occhi e domanda: “Dove si fonda la nostra speranza?”.  

Bum! Un colpo dritto al cuore, che costringe a fermarci e a pensare. Perché si fa presto a parlare di speranza, ma se non si sa quale speranza sia, se un’attesa vera o un miraggio, si finisce per perderla o, peggio, per usarla come alibi, aspettando a tempo indeterminato che le cose cambino da sole (com’è che dice papa Bergoglio sul “balconear?”). 

Elementi di costruzioni: le fondamenta per essere solide devono essere profonde. Così Benedetto parte dalle prime pagine della storia del popolo di Dio, dall’esilio, dall’Esodo: migliaia di persone, uomini, donne, bambini, anziani, malati, che vagano nel deserto verso la Terra Promessa. Che è promessa sì, ma distante: è molto tempo che sono in Egitto, chi ha presente dov’è Gerusalemme? Niente bussola, niente Google maps, ma sono partiti ugualmente e, ora, sono in viaggio. Hanno riposto tutto nella fedeltà di Dio, spiega Ratzinger: “Qui sta il fondamento sicuro di ogni speranza: Dio non ci lascia mai soli ed è fedele alla parola data. (…) Avere speranza equivale, dunque, a confidare nel Dio fedele, che mantiene le promesse dell’alleanza”. Ma il Papa, che esorta a costruire bene, non si ferma al nostro di fondamento, scava più profondo e arriva alla roccia: “In che cosa consiste la fedeltà di Dio alla quale affidarci con ferma speranza? Nel suo amore”. E l’amore, lo sappiamo, non lascia indifferenti, ci interpella sempre, ci costringe a uscire, chiede risposte “su ciò che ciascuno vuole fare della propria vita, su quanto è disposto a mettere in gioco per realizzarla pienamente”.  

Gioco, partita, incontro. Benedetto XVI compendia in un solo testo mille volumi: la nostra speranza si fonda sulla fede e questa si appoggia sull’amore. Da lì in poi, è tutta una vocazione.