Il cineforum della comunità del Biennio con Giancarlo Zappoli ha proposto ai seminaristi tre film che denunciano problematiche, tensioni e sofferenze a livello sociale. Al centro la famiglia con i suoi drammi e le speranze

1-109522

Già da alcuni anni il Biennio teologico riserva ai suoi seminaristi l’occasione di critica e confronto nell’immenso e così variegato mondo del cinema. Si riconosce infatti il peso che questa forma d’arte sta assumendo negli ultimi decenni; può esprimersi in vari risvolti, generi o finalità, tra questi anche la denuncia di problematiche, tensioni e sofferenze a livello sociale.

In riferimento soprattutto a quest’ultimo genere, abbiamo invitato nuovamente, nello scorso novembre, Giancarlo Zappoli, direttore del portale web di cinema MYmovies, nonché del Festival internazionale del cinema giovane di Bellinzona. Con la preparazione, ma anche l’originalità che lo contraddistinguono, ci ha fatto confrontare con le fatiche, i drammi, le speranze delle famiglie italiane dei nostri tempi, attraverso alcune rappresentazioni che ne ha fatto il grande schermo negli ultimi anni. Ha tenuto quindi tre incontri in Seminario con noi studenti del Biennio, in ciascun incontro ha proposto il confronto e la rilettura di un film che lui stesso ci aveva proposto di vedere.

Le cose che contano davvero

“Il Capitale umano”, regia di Paolo Virzì, 2014, drammatico, è stato il primo film su cui ci siamo soffermati. Ambientato in Brianza, la trama si focalizza sulle vicende che coinvolgono due famiglie di diversa estrazione sociale, entrambe vittime dell’accecamento del benessere o dell’illusione del facile arricchimento. Ogni membro familiare sembra muoversi in completa autonomia, senza rendersi conto di
essere un automa guidato dai propri utili e interessi; ciascuno soffre nell’intimo per insoddisfazioni e ansie croniche generate da una vita piatta, grigia, segnata dall’abitudine.

Zappoli ha scelto questo lungometraggio, di stampo neo-realista, per introdurci nella disillusione del cinema nei confronti delle relazioni familiari di oggi, in cui si rischiano sfilacciamenti e incomprensioni.

Una possibile via di rinascita sembra indicata da un personaggio femminile del film, Roberta, moglie dell’imprenditore arrivista Bernaschi: ricominciare a prendersi cura di chi compie con noi il viaggio della vita, tentare di comprendere l’intima solitudine nelle nostre famiglie, non lasciar spegnere l’amore per le cose che contano davvero.

Tra benessere e povertà

Il secondo appuntamento di cineforum ha visto sui nostri schermi in Seminario “Gli equilibristi”, regia di Ivano De Matteo e protagonista un grandioso Valerio Mastrandrea. Al termine della visione ricordo ancora il silenzio che per qualche secondo è rimasto in aula, un silenzio di sbigottimento, domanda, compassione, speranza. Malgrado si possa pensare che abbia esagerato con il pathos, in alcuni passaggi l’opera di De Matteo riesce efficacemente a trasmettere il dramma di una famiglia che attraversa una separazione coniugale a causa del tradimento del marito Giulio nei confronti della moglie.Lui deve lasciare casa, provvedere al sostentamento della consorte e dei due figli, ed estinguere il mutuo. A quarant’anni, quest’uomo scopre quanto sia labile il confine tra benessere e povertà: da un giorno con l’altro l’equilibrio, appunto, si rompe senza preavviso. Alla rottura degli affetti, alla lontananza dai propri cari, al disastro economico, segue una graduale e inarrestabile spirale che conduce all’emarginazione sociale e alla depressione. L’ultimo sostegno che gli rimane è il centro di accoglienza della Caritas cittadina.

Sappiamo purtroppo che questa non è solo la storia di Giulio: il film è molto crudo, ma siamo grati a Zappoli per avercelo proposto: è giusto e opportuno rendersi conto delle sofferenze che affliggono molte famiglie di oggi per separazioni e povertà, e a maggior ragione non può rimanerne indifferente chi un domani sarà chiamato a essere pastore nelle nostre comunità, e dovrà saper ascoltare, accompagnare e rimanere vicino a chi soffre.

L’evoluzione dei rapporti

Al terzo e ultimo appuntamento abbiamo decisamente cambiato stile e registro con il film “Zoran. Il mio nipote scemo”, regia di Matteo Oleotto, con un inimitabile Giuseppe Battiston. Pur rimanendo nell’ambito familiare, ci siamo trovati di fronte a una coppia di personaggi decisamente sui generis: Paolo Bressan, scorbutico friulano, col vizio del vino e ormai intento solo a cercare una scappatoia dalla vita magra e insoddisfacente che conduce tra il lavoro e l’osteria, e il nipote, colto adolescente naif, che Paolo riceve in affidamento dal testamento di una zia slovena. Inizialmente lo zio tiene con sé il nipote per un puro interesse economico, per di più trattandolo con cinismo, insensibilità e autoritarismo.

Con grande ironia, a volte un po’ grottesca, il film mostra l’evoluzione dei rapporti tra i due, che si aiuteranno pian piano a uscire dai rispettivi limiti e schiavitù: a differenza degli altri due film, qui una famiglia sembra si stia finalmente creando, e questo grazie allo sforzo di alzare la testa da se stessi, di accogliere l’altro come dono e farlo proprio compagno nella vita.